Articoli divulgativi sulle psicopatologie e strategie terapeutiche, psicoterapia e cura dei disturbi psicologici

Un elenco del buon paziente? Esiste un paziene "buono" e uno "cattivo"? Il paziente non è libero di comportarsi come più desidera, visto che paga (e a volte eccessivamente) lo spazio e il tempo del suo terapeuta? Il paziente non viene accettato in qualsiasi forma esprima il suo comportamento?

La risposta, come tutte le cose non semplici, è complessa e non può essere liquidata con un no o con un sì. Se proprio dovessimo rispondere alle domande di cui sopra dovremmo dire "sì e no". Vediamo di approfondire l'argomento. Il paziente, o cliente che dir si voglia, entrando in terapia accetta, in modo più o meno esplicito, che il terapeuta abbia accesso alla sua interiorità. Nel fare questo, chi prima chi dopo, ogni paziente finisce per abbassare le difese della propria individualità e quindi all'interno del contesto terapeutico diventa "nudo". Ciò che c'è di più recondito, nel bene o nel male, può emergere fuori e ciò che c'è fuori, le parole e le azioni del terapeuta, possono entrare dentro. Questa apertura, necessaria per un cambiamento profondo, favorisce la regressione ai modi e alle fasi più antiche dello sviluppo psichico. Inoltre, così facendo, la figura del terapeuta e l'ambiente dove si svolgono le sedute acquisiscono significati che a volte oltrepassano la realtà del momento e si rivestono di "storie antiche" o di reazioni personali traslate (un aspetto di quello che si chiama transfert).

Questa particolarità dell'ambiente terapeutico richiede che il paziente si senta a suo agio, tanto da sentire di potersi lasciare andare. Allo stesso tempo questo importantissimo processo richiede che il terapeuta rispetti qualsiasi peculiarità del paziente, mentre questi saggia la "stabilità" delle reazioni del suo terapeuta e del setting circostante. Oltre a ciò alcuni clienti, mentre si lasciano andare, sfoderano tutta una serie di reazioni limite, per loro segno di vera apertura, che però sono eccessive se viste con occhi esterni o misurate con i metri di giudizio comune.

Questo elenco, lungi dall’essere esaustivo, propone le caratteristiche di quello che considero "buon terapeuta".

Ritengo che i punti sotto indicati riflettano qualità, atteggiamenti e comportamenti che i terapeuti, indipendentemente dalle scelte teoriche che operano durante la loro formazione o in virtù della propria personalità, dovrebbero dimostrare pragmaticamente, nel contatto quotidiano con i loro clienti e, in una certa misura, anche nella loro vita privata; questo poiché un terapeuta non si può permettere il lusso di "staccare la spina" una volta uscito dallo studio. Anche se ha pienamente diritto a vivere la propria dimensione privata nel modo in cui ritiene più giusto, non è possibile pensare che possa aiutare autenticamente i propri clienti se egli stesso vive una sorta di doppia vita, una seria, matura ed equilibrata durante la vita professionale, e una magari fatta di eccessi, frustrazioni, conflitti e infantilismi.

Durante una terapia in cui conta moltissimo la relazione che si stringe tra cliente e terapeuta, c’è un continuo scambio di messaggi e di informazioni sia verbali che non verbali. Che lo si voglia ammettere o meno, il cliente apprende nel giro di pochi incontri, molto di più di quanto ogni terapeuta voglia concedere. E’ quindi essenziale che le informazioni che possono essere "lette" dai clienti siano corrette alla fonte.

Imparare ad avere uno stile di vita adeguato alla professione di psicoterapeuta è un dovere primario (che, tra l’altro, permetterà di non avere alcuna paura delle intrusioni di certi difficili clienti, perché non c'è niente da nascondere).

E adesso l'elenco…